Chi ha frequentato il liceo classico ha sicuramente tradotto qualche brano tratto dal De Brevitate Vitae di Seneca. Il titolo ci dice che si parla a proposito della brevità della vita, ma in realtà Seneca sostiene che non abbiamo ricevuto una vita breve, ma la rendiamo tale perché spesso perdiamo tempo in passatempi inutili e/o dannosi. Chi - come me - abita in una grande città avrà subito da obiettare che il vero tempo perso è quello che trascorriamo nel traffico, nelle code al supermercato, alle poste o ad aspettare l’autobus!!! In molti suoi scritti Mons. Giaquinta ci esorta a riscoprire la sacralità del tempo, a comprendere che il tempo della nostra vita ci è stato donato per uno scopo. Questo non vuol dire che non possiamo avere del tempo per noi, ma che nella giornata siamo invitati a ricordarci del Signore (cosa che possiamo fare anche durante le interminabili file) e degli altri. Possiamo, magari, fare una telefonata ad un amico che non sentiamo da tempo, oppure scambiare due parole con il collega della stanza accanto o con il vicino di casa che incontriamo per le scale. Tutto questo rende sacro il nostro tempo … e ci salva (come dice una nota pubblicità) dal logorio della vita moderna!!!
lunedì 30 marzo 2009
giovedì 26 marzo 2009
Bakhita Giuseppina: santa della speranza!
Lunedì durante l'adorazione settimanale quaresimale Giselda ci ha fatto riflettere su una figura straordinaria: Bakhita Giuseppina.
Nacque intorno al 1869 in un piccolo villaggio del Sudan occidentale. All'età di quattro - sei anni, fu rapita da mercanti arabi di schiavi. Per il trauma subito, dimenticò il proprio nome e quello dei propri familiari: i suoi rapitori la chiamarono Bakhita, che in arabo significa "fortunata". Venduta più volte dai mercanti di schiavi sui mercati di El Obeid e di Khartoum, conobbe le umiliazioni, le sofferenze fisiche e morali della schiavitù. In particolare, subì un tatuaggio cruento mentre era a servizio di un generale turco: le furono disegnati più di un centinaio di segni sul petto, sul ventre e sul braccio destro, incisi poi con un rasoio e successivamente coperti di sale per creare delle cicatrici permanenti.
Nella capitale sudanese venne infine comprata dal console italiano residente in quella città, Callisto Legnani che le ridiede la libertà. Dopo varie vicissitudini, nel 1884 raggiunse Genova. In Italia Augusto Michieli con la moglie presero con loro Bakhita come bambinaia della figlia Mimmina e la portarono nella loro casa a Zianigo (frazione di Mirano). Dopo tre anni i coniugi De Michieli si traferirono in Africa a Suakin dove possedevano un albergo e lasciarono temporaneamente la figlia e Bakhita in affidamento presso l'Istituto dei Catecumeni in Venezia gestito dalle Figlie della Carità (Canossiane). Bakhita venne ospitata gratuitamente come catecumena e cominciò a ricevere così una istruzione religiosa.
Nella capitale sudanese venne infine comprata dal console italiano residente in quella città, Callisto Legnani che le ridiede la libertà. Dopo varie vicissitudini, nel 1884 raggiunse Genova. In Italia Augusto Michieli con la moglie presero con loro Bakhita come bambinaia della figlia Mimmina e la portarono nella loro casa a Zianigo (frazione di Mirano). Dopo tre anni i coniugi De Michieli si traferirono in Africa a Suakin dove possedevano un albergo e lasciarono temporaneamente la figlia e Bakhita in affidamento presso l'Istituto dei Catecumeni in Venezia gestito dalle Figlie della Carità (Canossiane). Bakhita venne ospitata gratuitamente come catecumena e cominciò a ricevere così una istruzione religiosa.
Fu colpita dal crocifisso, e soprattutto dal fatto che esisteva un Dio che l'amava come figlia e che, in virtù di questo le dava grande dignità.
Quando la signora Michieli ritornò dall'Africa per riprendersi la figlia e Bakhita, quest'ultima, con molto coraggio e decisione, manifestò la sua intenzione di rimanere in Italia con le suore Canossiane. Nel convento delle Canossiane dove rimase, il 9 gennaio 1890 Bakhita ricevette i sacramenti dell'iniziazione cristiana e con i nomi Giuseppina Margherita Fortunata. La popolazione locale prese ad amare questa insolita suora di colore per i suoi modi gentili, la voce calma, il volto sempre sorridente: venne infatti ribattezzata: "Madre Moreta".
Il suo personale carisma e la sua fama di santità vennero notati dai suoi superiori, che a più riprese le chiesero di dettare le sue memorie. Il primo racconto venne dettato a suor Teresa Fabris nel 1910, che produsse un manoscritto di 31 pagine in Italiano (si noti che Bakhita parlava esclusivamente in dialetto veneto). Nel 1929, su invito della famiglia dell'amministratore dei coniugi Michieli, Illuminato Chicchini, persona a cui lei era particolarmente legata e riconoscente, si racconta ad un'altra consorella, suor Mariannina Turco; questo secondo manoscritto è andato perduto, probabilmente distrutto dalla stessa Bakhita.
Su richiesta della superiora generale dell'ordine, tra il 4 e il 6 novembre 1930 venne intervistata a Venezia da Ida Zanolini, laica canossiana e maestra elementare, la quale nel 1931 pubblicò il libro Storia Meravigliosa che venne ristampato 4 volte nel giro di sei anni.
Bakhita divenne così famosa in tutta Italia e molte persone, comitive e scolaresche andavano a Schio per vederla. Morì l'8 febbraio 1947 dopo una lunga e dolorosa malattia. La salma venne inizialmente sepolta nella tomba di una famiglia scledense, i Gasparella, probabilmente in vista di una successiva traslazione nel Tempio della Sacra Famiglia del convento delle canossiane di Schio, traslazione poi avvenuta nel 1969.
Quando la signora Michieli ritornò dall'Africa per riprendersi la figlia e Bakhita, quest'ultima, con molto coraggio e decisione, manifestò la sua intenzione di rimanere in Italia con le suore Canossiane. Nel convento delle Canossiane dove rimase, il 9 gennaio 1890 Bakhita ricevette i sacramenti dell'iniziazione cristiana e con i nomi Giuseppina Margherita Fortunata. La popolazione locale prese ad amare questa insolita suora di colore per i suoi modi gentili, la voce calma, il volto sempre sorridente: venne infatti ribattezzata: "Madre Moreta".
Il suo personale carisma e la sua fama di santità vennero notati dai suoi superiori, che a più riprese le chiesero di dettare le sue memorie. Il primo racconto venne dettato a suor Teresa Fabris nel 1910, che produsse un manoscritto di 31 pagine in Italiano (si noti che Bakhita parlava esclusivamente in dialetto veneto). Nel 1929, su invito della famiglia dell'amministratore dei coniugi Michieli, Illuminato Chicchini, persona a cui lei era particolarmente legata e riconoscente, si racconta ad un'altra consorella, suor Mariannina Turco; questo secondo manoscritto è andato perduto, probabilmente distrutto dalla stessa Bakhita.
Su richiesta della superiora generale dell'ordine, tra il 4 e il 6 novembre 1930 venne intervistata a Venezia da Ida Zanolini, laica canossiana e maestra elementare, la quale nel 1931 pubblicò il libro Storia Meravigliosa che venne ristampato 4 volte nel giro di sei anni.
Bakhita divenne così famosa in tutta Italia e molte persone, comitive e scolaresche andavano a Schio per vederla. Morì l'8 febbraio 1947 dopo una lunga e dolorosa malattia. La salma venne inizialmente sepolta nella tomba di una famiglia scledense, i Gasparella, probabilmente in vista di una successiva traslazione nel Tempio della Sacra Famiglia del convento delle canossiane di Schio, traslazione poi avvenuta nel 1969.
Il viaggio del Papa in Africa
Circa le dichiarazioni del Papa durante il suo viaggio in Africa è stato scritto molto. Per amore di verità, vi propongo l’articolo che segue. È un po’ lungo, ma vale la pena leggerlo.
L’utopia del sesso sicuro
di Mons. Vitaliano Mattioli*
ROMA, domenica, 22 marzo 2009 (ZENIT.org).- L’Europa ogni giorno scopre maggiormente il suo volto. L’ultima manifestazione è stata la falsa interpretazione dell’intervista che Benedetto XVI ha concesso ai giornalisti in aereo verso il Camerun. Riporto innanzitutto il testo originale:
Domanda: “Santità, tra i molti mali che travagliano l’Africa, vi è anche e in particolare quello della diffusione dell’Aids. La posizione della Chiesa cattolica sul modo di lottare contro di esso viene spesso considerata non realistica e non efficace. Lei affronterà questo tema, durante il viaggio?”.
Papa: “Io direi il contrario: penso che la realtà più efficiente, più presente sul fronte della lotta contro l’Aids sia proprio la Chiesa cattolica, con i suoi movimenti, con le sue diverse realtà. Penso alla Comunità di Sant’Egidio che fa tanto, visibilmente e anche invisibilmente, per la lotta contro l’Aids, ai Camilliani, a tutte le Suore che sono a disposizione dei malati … Direi che non si può superare questo problema dell’Aids solo con slogan pubblicitari. Se non c’è l’anima, se gli africani non si aiutano, non si può risolvere il flagello con la distribuzione di profilattici: al contrario, il rischio è di aumentare il problema. La soluzione può trovarsi solo in un duplice impegno: il primo, una umanizzazione della sessualità, cioè un rinnovo spirituale e umano che porti con sé un nuovo modo di comportarsi l’uno con l’altro, e secondo, una vera amicizia anche e soprattutto per le persone sofferenti, la disponibilità, anche con sacrifici, con rinunce personali, ad essere con i sofferenti. E questi sono i fattori che aiutano e che portano visibili progressi. Perciò, direi questa nostra duplice forza di rinnovare l’uomo interiormente, di dare forza spirituale e umana per un comportamento giusto nei confronti del proprio corpo e di quello dell’altro, e questa capacità di soffrire con i sofferenti, di rimanere presente nelle situazioni di prova. Mi sembra che questa sia la giusta risposta, e la Chiesa fa questo e così offre un contributo grandissimo ed importante. Ringraziamo tutti coloro che lo fanno”.
Sembra che la parola preservativo sulla bocca di un Papa abbia fatto scandalo. Molti politici europei hanno addirittura accusato il Pontefice di essere un seminatore di morte perché ha detto che l’uso del profilattico non è la vera soluzione all’Aids.
Nell’intervista sopra riportata, il Papa indica la vera soluzione, che può trovarsi solo in un duplice impegno: il primo, una umanizzazione della sessualità, cioè un rinnovo spirituale e umano che porti con sé un nuovo modo di comportarsi l’uno con l’altro; e secondo, una vera amicizia anche e soprattutto per le persone sofferenti, la disponibilità, anche con sacrifici, con rinunce personali, ad essere con i sofferenti.
A questo punto emerge la vera cultura che già da tempo si sta tentando di introdurre in Europa. L’esercizio caotico e capriccioso in tutte le salse della sessualità (direi meglio della genialità, perché la sessualità è qualcosa di più sublime), e contemporaneamente la pretesa di evitare malattie assumendo il preservativo.
La dottrina cattolica, sostenuta dal buon senso e dalla concezione personalistica, invece la pensa esattamente al contrario. Per debellare completamente l’Aids l’unica soluzione è ritornare ad una vita sessuale vissuta razionalmente e non caoticamente.
Purtroppo la codificazione ufficiale della concezione materialistica è stata attuata nella tristemente famosa Conferenza del Cairo (5-13 settembre 1994) nella quale sono stati del tutto difesi e legittimati i cosiddetti diritti sessuali.
Il messaggio emerso è il seguente: tu hai il diritto di vivere la tua sessualità come ti pare; nessuno te lo deve impedire perché è un tuo diritto. Quindi spazio libero ad ogni capricciosità. La tua maturità non consiste nell’equilibrio delle tue facoltà ma nella capacità di evitare da una parte gravidanze indesiderate e dall’altra parte malattie come l’Aids.
Da quel momento il mondo è stato invaso di preservativi, anche distribuiti gratis nel carnevale di Rio e nelle olimpiadi in Germania. Si possono trovare nelle gettoniere; in alcuni bar è omaggiato insieme al caffé.
Con tanta gioia delle lobby farmaceutiche ed industrie che possono fare soldi a palate e dei benpensanti i quali ormai si sentono autorizzati a dare spazio a qualsiasi tipo di comportamento e guai a chi obietta: si dice che sono bacchettoni e vanno contro un loro sacrosanto diritto.
A questo punto sorge una ovvia domanda: dato che il mondo è stato inondato di preservativi e se è vero che sono la vera panacea ai mali, l’Aids dovrebbe essere stato debellato da tempo. Come mai invece è in crescita? Vuol dire che qualche cosa non ha funzionato.
È proprio questo che Benedetto XVI ha voluto chiarire. L’unico vero rimedio è il ritorno ad una umanizzazione della sessualità.
Ma questo non è solo il pensiero di un Papa, ma corrisponde al magistero secolare della Chiesa. Inoltre non è necessario essere cattolici (veri) per capire questo elementare principio. Ci sono operatori sanitari, attivisti delle Ong, pensatori, gente comune, ma specialmente medici seri di qualunque credo religioso che sono dello stesso parere.
Del resto non è necessario essere istruiti per capire un principio così elementare; basta avere un po’ di buon senso e specialmente di onestà.
Come esempio riporto semplicemente una notizia letta su “Avvenire” del 19 marzo 2009 a pag. 6. Il medico dell’Avsi, Filippo Ciancia, in una intervista concessa a questo giornale, sostiene che l’Aids si può vincere soltanto modificando i comportamenti a rischio e investendo sull’educazione. Questo medico che da anni lavora in Uganda ci informa che “il governo ugandese ha laicamente lanciato con successo la strategia dell’ABC”.
E spiega: “Alle persone viene consigliata l’astensione dai rapporti (Abstinence), la fedeltà al partner (Being faithful) e – in casi molto particolari e solo per certe, limitate categorie di persone – l’uso corretto del profilattico (Condom use). Risultato?
La prevalenza dell’Hiv è passata dal 15% del 2002 al 5% del 2004. E quale è stato il costo dei programmi avviati per favorire la modifica degli stili di vita? 23 centesimi di dollaro a testa. Ha ragione il Papa: “siamo di fronte a una tragedia che non può essere vinta solo con i soldi. Serve una strategia multilaterale che metta al centro il bene della persona”.
Penso che a questo punto le accuse si invertono: non è il Papa che condanna il Continente africano alla morte ma è l’unico che ha il coraggio, anche a rischio di mostrarsi impopolare, di indicare la vera via della vita; invece i veri operatori di morte sono quelle lobby farmaceutiche che pur di far soldi vogliono continuare ad inondare il mondo di preservativi indifferenti al fatto che questi non garantiscono il sesso sicuro e quindi sono più facilmente veicoli di morte e quei politici che per difendere i loro comportamenti sessualmente dubbi e per guadagnarsi voti vogliono cavalcare la bestia del populismo, non pensando al tradimento verso quelle stesse persone che probabilmente li voteranno.
—–
*Docente di Teologia Morale e Bioetica alla Pontificia Università Urbaniana e Vicepreside del Pontificio Istituto S. Apollinare.
L’utopia del sesso sicuro
di Mons. Vitaliano Mattioli*
ROMA, domenica, 22 marzo 2009 (ZENIT.org).- L’Europa ogni giorno scopre maggiormente il suo volto. L’ultima manifestazione è stata la falsa interpretazione dell’intervista che Benedetto XVI ha concesso ai giornalisti in aereo verso il Camerun. Riporto innanzitutto il testo originale:
Domanda: “Santità, tra i molti mali che travagliano l’Africa, vi è anche e in particolare quello della diffusione dell’Aids. La posizione della Chiesa cattolica sul modo di lottare contro di esso viene spesso considerata non realistica e non efficace. Lei affronterà questo tema, durante il viaggio?”.
Papa: “Io direi il contrario: penso che la realtà più efficiente, più presente sul fronte della lotta contro l’Aids sia proprio la Chiesa cattolica, con i suoi movimenti, con le sue diverse realtà. Penso alla Comunità di Sant’Egidio che fa tanto, visibilmente e anche invisibilmente, per la lotta contro l’Aids, ai Camilliani, a tutte le Suore che sono a disposizione dei malati … Direi che non si può superare questo problema dell’Aids solo con slogan pubblicitari. Se non c’è l’anima, se gli africani non si aiutano, non si può risolvere il flagello con la distribuzione di profilattici: al contrario, il rischio è di aumentare il problema. La soluzione può trovarsi solo in un duplice impegno: il primo, una umanizzazione della sessualità, cioè un rinnovo spirituale e umano che porti con sé un nuovo modo di comportarsi l’uno con l’altro, e secondo, una vera amicizia anche e soprattutto per le persone sofferenti, la disponibilità, anche con sacrifici, con rinunce personali, ad essere con i sofferenti. E questi sono i fattori che aiutano e che portano visibili progressi. Perciò, direi questa nostra duplice forza di rinnovare l’uomo interiormente, di dare forza spirituale e umana per un comportamento giusto nei confronti del proprio corpo e di quello dell’altro, e questa capacità di soffrire con i sofferenti, di rimanere presente nelle situazioni di prova. Mi sembra che questa sia la giusta risposta, e la Chiesa fa questo e così offre un contributo grandissimo ed importante. Ringraziamo tutti coloro che lo fanno”.
Sembra che la parola preservativo sulla bocca di un Papa abbia fatto scandalo. Molti politici europei hanno addirittura accusato il Pontefice di essere un seminatore di morte perché ha detto che l’uso del profilattico non è la vera soluzione all’Aids.
Nell’intervista sopra riportata, il Papa indica la vera soluzione, che può trovarsi solo in un duplice impegno: il primo, una umanizzazione della sessualità, cioè un rinnovo spirituale e umano che porti con sé un nuovo modo di comportarsi l’uno con l’altro; e secondo, una vera amicizia anche e soprattutto per le persone sofferenti, la disponibilità, anche con sacrifici, con rinunce personali, ad essere con i sofferenti.
A questo punto emerge la vera cultura che già da tempo si sta tentando di introdurre in Europa. L’esercizio caotico e capriccioso in tutte le salse della sessualità (direi meglio della genialità, perché la sessualità è qualcosa di più sublime), e contemporaneamente la pretesa di evitare malattie assumendo il preservativo.
La dottrina cattolica, sostenuta dal buon senso e dalla concezione personalistica, invece la pensa esattamente al contrario. Per debellare completamente l’Aids l’unica soluzione è ritornare ad una vita sessuale vissuta razionalmente e non caoticamente.
Purtroppo la codificazione ufficiale della concezione materialistica è stata attuata nella tristemente famosa Conferenza del Cairo (5-13 settembre 1994) nella quale sono stati del tutto difesi e legittimati i cosiddetti diritti sessuali.
Il messaggio emerso è il seguente: tu hai il diritto di vivere la tua sessualità come ti pare; nessuno te lo deve impedire perché è un tuo diritto. Quindi spazio libero ad ogni capricciosità. La tua maturità non consiste nell’equilibrio delle tue facoltà ma nella capacità di evitare da una parte gravidanze indesiderate e dall’altra parte malattie come l’Aids.
Da quel momento il mondo è stato invaso di preservativi, anche distribuiti gratis nel carnevale di Rio e nelle olimpiadi in Germania. Si possono trovare nelle gettoniere; in alcuni bar è omaggiato insieme al caffé.
Con tanta gioia delle lobby farmaceutiche ed industrie che possono fare soldi a palate e dei benpensanti i quali ormai si sentono autorizzati a dare spazio a qualsiasi tipo di comportamento e guai a chi obietta: si dice che sono bacchettoni e vanno contro un loro sacrosanto diritto.
A questo punto sorge una ovvia domanda: dato che il mondo è stato inondato di preservativi e se è vero che sono la vera panacea ai mali, l’Aids dovrebbe essere stato debellato da tempo. Come mai invece è in crescita? Vuol dire che qualche cosa non ha funzionato.
È proprio questo che Benedetto XVI ha voluto chiarire. L’unico vero rimedio è il ritorno ad una umanizzazione della sessualità.
Ma questo non è solo il pensiero di un Papa, ma corrisponde al magistero secolare della Chiesa. Inoltre non è necessario essere cattolici (veri) per capire questo elementare principio. Ci sono operatori sanitari, attivisti delle Ong, pensatori, gente comune, ma specialmente medici seri di qualunque credo religioso che sono dello stesso parere.
Del resto non è necessario essere istruiti per capire un principio così elementare; basta avere un po’ di buon senso e specialmente di onestà.
Come esempio riporto semplicemente una notizia letta su “Avvenire” del 19 marzo 2009 a pag. 6. Il medico dell’Avsi, Filippo Ciancia, in una intervista concessa a questo giornale, sostiene che l’Aids si può vincere soltanto modificando i comportamenti a rischio e investendo sull’educazione. Questo medico che da anni lavora in Uganda ci informa che “il governo ugandese ha laicamente lanciato con successo la strategia dell’ABC”.
E spiega: “Alle persone viene consigliata l’astensione dai rapporti (Abstinence), la fedeltà al partner (Being faithful) e – in casi molto particolari e solo per certe, limitate categorie di persone – l’uso corretto del profilattico (Condom use). Risultato?
La prevalenza dell’Hiv è passata dal 15% del 2002 al 5% del 2004. E quale è stato il costo dei programmi avviati per favorire la modifica degli stili di vita? 23 centesimi di dollaro a testa. Ha ragione il Papa: “siamo di fronte a una tragedia che non può essere vinta solo con i soldi. Serve una strategia multilaterale che metta al centro il bene della persona”.
Penso che a questo punto le accuse si invertono: non è il Papa che condanna il Continente africano alla morte ma è l’unico che ha il coraggio, anche a rischio di mostrarsi impopolare, di indicare la vera via della vita; invece i veri operatori di morte sono quelle lobby farmaceutiche che pur di far soldi vogliono continuare ad inondare il mondo di preservativi indifferenti al fatto che questi non garantiscono il sesso sicuro e quindi sono più facilmente veicoli di morte e quei politici che per difendere i loro comportamenti sessualmente dubbi e per guadagnarsi voti vogliono cavalcare la bestia del populismo, non pensando al tradimento verso quelle stesse persone che probabilmente li voteranno.
—–
*Docente di Teologia Morale e Bioetica alla Pontificia Università Urbaniana e Vicepreside del Pontificio Istituto S. Apollinare.
martedì 24 marzo 2009
Notizie “gustose”
Sarà che in questo periodo ho ricominciato a cucinare dolci, ma mi sono accorta che sono diventata più sensibile alle notizie "gastronomiche". Ieri sera guardando una trasmissione su Rai tre ho scoperto che il cuoco più bravo del mondo è spagnolo (anche se per me la cuoca migliore è sempre la mia mamma …). Eppure credevo che i cuochi più bravi fossero italiani!!! Stamattina, però, mi sono rincuorata leggendo che l’inserto del Financial Times ha dedicato un’intera pagina ad una pasticceria genovese, considerata la miglior produttrice di dolci d'Italia, che affonda le radici nella tradizione della confetteria genovese e nelle tecniche di canditura di frutta e fiori.
Ve lo comunico per addolcirvi la giornata … :)
Ve lo comunico per addolcirvi la giornata … :)
sabato 21 marzo 2009
Primavera d’inverno
Avrete ormai capito che sono una “patita” della natura. Oggi ho letto questa notizia: nel mare di Calabria è stata scoperta la foresta di corallo nero più estesa del mondo. Pensando al caldo mi sono un po’ consolata, nel primo giorno di quella che è stata definita la “primavera d’inverno”. Visto che finora il tempo non è stato clemente, ho deciso di accogliere un suggerimento trovato sul blog di una mia amica che parla dell’importanza di vivere la primavera quotidiana: gioire per tutto quello che abbiamo di bello, per una buona notizia, per il dono della vita, per una nuova famiglia che nasce. Tutto questo è per noi. Ma sappiamo far nascere la primavera nel cuore delle persone che ci sono vicine? Forse la primavera quotidiana esige da noi che diventiamo “giardinieri” e che facciamo una cosa che ho letto tempo fa: “semina la gioia nel giardino del tuo vicino: la vedrai fiorire nel tuo”.
mercoledì 18 marzo 2009
Padre Pino Puglisi
Lunedì sera, (come ogni lunedì di quaresima) Giselda durante l'adorazione eucaristica ci ha fatto riflettere su un sacerdote che portò avanti la sua testimonianza cristiana fino alla morte.
Si tratta di padre Pino Puglisi che lottò contro la mafia degli anni '90 attraverso le armi pacifiche della coerenza, della preghiera vissuta e, della pace.
Quando i suoi carnefici gli puntarono la pistola (lui stava rientrando e aprendo la porta di casa) egli con un sorriso sereno disse:"me l'aspettavo".
Breve biografia
Don Giuseppe Puglisi nasce nella borgata palermitana di Brancaccio il 15 settembre 1937, figlio di un calzolaio e di una sarta, e viene ucciso dalla mafia nella stessa borgata il 15 settembre 1993, giorno del suo 56° compleanno.
Entra nel seminario diocesano di Palermo nel 1953 e viene ordinato sacerdote dal cardinale Ernesto Ruffini il 2 luglio 1960. Nel 1961 viene nominato vicario cooperatore presso la parrocchia del SS.mo Salvatore nella borgata di Settecannoli, limitrofa a Brancaccio, e rettore della chiesa di San Giovanni dei Lebbrosi.
Nel 1963 è nominato cappellano presso l'istituto per orfani "Roosevelt" e vicario presso la parrocchia Maria SS. ma Assunta a Valdesi. Sin da questi primi anni segue in particolare modo i giovani e si interessa delle problematiche sociali dei quartieri più emarginati della città.
Segue con attenzione i lavori del Concilio Vaticano II e ne diffonde subito i documenti tra i fedeli con speciale riguardo al rinnovamento della liturgia, al ruolo dei laici, ai valori dell'ecumenismo e delle chiese locali.
Il suo desiderio fu sempre quello di incarnare l'annunzio di Gesu' Cristo nel territorio, assumendone quindi tutti i problemi per farli propri della comunità cristiana.
Il primo ottobre 1970 viene nominato parroco di Godrano, un piccolo paese in provincia di Palermo - segnato da una sanguinosa faida - dove rimane fino al 31 luglio 1978, riuscendo a riconciliare le famiglie con la forza del perdono. In questi anni segue anche le battaglie sociali di un'altra zona della periferia orientale della citt., lo "Scaricatore".
A Palermo e in Sicilia è stato tra gli animatori di numerosi movimenti tra cui: Presenza del Vangelo, Azione cattolica, Fuci, Equipes Notre Dame. Dal marzo del 1990 svolge il suo ministero sacerdotale anche presso la "Casa Madonna dell'Accoglienza" dell'Opera pia Cardinale Ruffini in favore di giovani donne e ragazze-madri in difficoltà.
Il 29 settembre 1990 viene nominato parroco a San Gaetano, a Brancaccio, e nel 1992 assume anche l'incarico di direttore spirituale presso il seminario arcivescovile di Palermo. Il 29 gennaio 1993 inaugura a Brancaccio il centro "Padre Nostro", che diventa il punto di riferimento per i giovani e le famiglie del quartiere.
La sua attenzione si rivolse al recupero degli adolescenti già reclutati dalla criminalità mafiosa, riaffermando nel quartiere una cultura della legalità illuminata dalla fede.
Questa sua attività pastorale - come è stato ricostruito dalle inchieste giudiziarie - ha costituito il movente dell'omicidio, i cui esecutori e mandanti sono stati arrestati e condannati. Nel ricordo del suo impegno, innumerevoli sono le scuole, i centri sociali, le strutture sportive, le strada e le piazze a lui intitolate a Palermo e in tutta la Sicilia.
A partire dal 1994 il 15 settembre, anniversario della sua morte, segna l'apertura dell'anno pastorale della diocesi di Palermo.
Il 15 settembre 1999 il Cardinale Salvatore De Giorgi ha insediato il Tribunale ecclesiastico diocesano per il riconoscimento del martirio, che ha iniziato ad ascoltare i testimoni. Un archivio di scritti editi ed inediti, registrazioni, testimonianze e articoli si è costituito presso il "Centro ascolto giovani don Giuseppe Puglisi" in via Matteo Bonello a Palermo (091-334669).
Entra nel seminario diocesano di Palermo nel 1953 e viene ordinato sacerdote dal cardinale Ernesto Ruffini il 2 luglio 1960. Nel 1961 viene nominato vicario cooperatore presso la parrocchia del SS.mo Salvatore nella borgata di Settecannoli, limitrofa a Brancaccio, e rettore della chiesa di San Giovanni dei Lebbrosi.
Nel 1963 è nominato cappellano presso l'istituto per orfani "Roosevelt" e vicario presso la parrocchia Maria SS. ma Assunta a Valdesi. Sin da questi primi anni segue in particolare modo i giovani e si interessa delle problematiche sociali dei quartieri più emarginati della città.
Segue con attenzione i lavori del Concilio Vaticano II e ne diffonde subito i documenti tra i fedeli con speciale riguardo al rinnovamento della liturgia, al ruolo dei laici, ai valori dell'ecumenismo e delle chiese locali.
Il suo desiderio fu sempre quello di incarnare l'annunzio di Gesu' Cristo nel territorio, assumendone quindi tutti i problemi per farli propri della comunità cristiana.
Il primo ottobre 1970 viene nominato parroco di Godrano, un piccolo paese in provincia di Palermo - segnato da una sanguinosa faida - dove rimane fino al 31 luglio 1978, riuscendo a riconciliare le famiglie con la forza del perdono. In questi anni segue anche le battaglie sociali di un'altra zona della periferia orientale della citt., lo "Scaricatore".
A Palermo e in Sicilia è stato tra gli animatori di numerosi movimenti tra cui: Presenza del Vangelo, Azione cattolica, Fuci, Equipes Notre Dame. Dal marzo del 1990 svolge il suo ministero sacerdotale anche presso la "Casa Madonna dell'Accoglienza" dell'Opera pia Cardinale Ruffini in favore di giovani donne e ragazze-madri in difficoltà.
Il 29 settembre 1990 viene nominato parroco a San Gaetano, a Brancaccio, e nel 1992 assume anche l'incarico di direttore spirituale presso il seminario arcivescovile di Palermo. Il 29 gennaio 1993 inaugura a Brancaccio il centro "Padre Nostro", che diventa il punto di riferimento per i giovani e le famiglie del quartiere.
La sua attenzione si rivolse al recupero degli adolescenti già reclutati dalla criminalità mafiosa, riaffermando nel quartiere una cultura della legalità illuminata dalla fede.
Questa sua attività pastorale - come è stato ricostruito dalle inchieste giudiziarie - ha costituito il movente dell'omicidio, i cui esecutori e mandanti sono stati arrestati e condannati. Nel ricordo del suo impegno, innumerevoli sono le scuole, i centri sociali, le strutture sportive, le strada e le piazze a lui intitolate a Palermo e in tutta la Sicilia.
A partire dal 1994 il 15 settembre, anniversario della sua morte, segna l'apertura dell'anno pastorale della diocesi di Palermo.
Il 15 settembre 1999 il Cardinale Salvatore De Giorgi ha insediato il Tribunale ecclesiastico diocesano per il riconoscimento del martirio, che ha iniziato ad ascoltare i testimoni. Un archivio di scritti editi ed inediti, registrazioni, testimonianze e articoli si è costituito presso il "Centro ascolto giovani don Giuseppe Puglisi" in via Matteo Bonello a Palermo (091-334669).
Sete d’infinito …
“Quando a Roma c’è il sole ci scordiamo tutti i problemi!!!” – diceva ieri un mio amico. Ho sorriso. È proprio vero: con il sole tutto ci sembra più bello! La primavera in arrivo ci da’ un po’ più di “sprint”, sembra risvegliare i nostri sentimenti e, forse, ci da’ anche la voglia di guardarci dentro. Così riscopriamo in noi il desiderio di bellezza, la ricerca della verità, l’aspirazione alla felicità, la sete d’infinito… Tutto questo, ancora una volta, ci parla di Dio: quando percepiamo i segni della nostra anima spirituale, infatti, comprendiamo che non abbiamo in noi stessi né il primo principio né il fine ultimo e che la nostra anima può avere origine solo in Dio, che è la causa prima e il fine ultimo di tutto. In Lui troviamo la vera felicità e il senso della vita!
… provare per credere!!!
… provare per credere!!!
sabato 14 marzo 2009
Quando la bellezza parla
Ieri sera al telegiornale hanno mostrato le immagini di alcuni delfini che giocavano sott’acqua. Oggi la pagina di Google ci ricorda che ricorre il 174° anniversario della nascita di Giovanni Schiapparelli che nel 1890 ha tracciato una mappa del pianeta Marte e, con le sue osservazioni, ha rivoluzionato il campo dell’astronomia.
In questo bellissimo fine settimana quasi primaverile con gli alberi in fiore e il cielo terso, tutto sembra parlarci di Dio… Ho detto sembra? L’osservazione del creato, in tutto il suo splendore, è proprio una delle vie che ci permette di arrivare a Dio. Dice S. Agostino: “Interroga la bellezza della terra, del mare, dell’aria rarefatta e dovunque espansa; interroga la bellezza del cielo … interroga tutte queste realtà. Tutte ti risponderanno: guardaci pure e osserva come siamo belle. (…) Ora, queste creature, così belle ma pur mutevoli, chi le ha fatte se non uno che è bello in modo immutabile?”
Che ne dite? … provare per credere!!!
In questo bellissimo fine settimana quasi primaverile con gli alberi in fiore e il cielo terso, tutto sembra parlarci di Dio… Ho detto sembra? L’osservazione del creato, in tutto il suo splendore, è proprio una delle vie che ci permette di arrivare a Dio. Dice S. Agostino: “Interroga la bellezza della terra, del mare, dell’aria rarefatta e dovunque espansa; interroga la bellezza del cielo … interroga tutte queste realtà. Tutte ti risponderanno: guardaci pure e osserva come siamo belle. (…) Ora, queste creature, così belle ma pur mutevoli, chi le ha fatte se non uno che è bello in modo immutabile?”
Che ne dite? … provare per credere!!!
martedì 10 marzo 2009
Benedetta Bianchi Porro: santa nella sofferenza!
Ieri sera durante l'adorazione eucaristica comunitaria Giselda ci ha proposto di riflettere sulla figura di Benedetta Bianchi Porro che nella sofferenza vide la sua vocazione specifica alla santità.
Amava infatti dire:" come ci sono sacerdoti, persone sposate così c'è chi è anche chiamato alla malattia come me".
Benedetta Bianchi Porro è nata a Dovadola l'8 agosto 1936 ed è morta a Sirmione, il 23 gennaio 1964. È venerabile per il comportamento e la fede mantenuti in vita nonostante le sofferenze.
Appena nata a Dovàdola, in provincia di Forlì, fu colpita da una emorragia. Su richiesta della madre le venne conferito il battesimo "di necessità" con acqua di Lourdes.
A tre mesi Benedetta si ammalò di poliomelite. La malattia le lasciò la gamba destra più corta, constringengola in seguito a portare una pesante scarpa ortopedica.
Nel maggio 1944 nella piccola Chiesa dell’Annunziata a Dovadola fece la prima Comunione. Le venne regalato in quell'occasione un rosario, da cui non si sarebbe più separata.
Nonostante la sua situazione di salute, nell'ottobre del 1953, a soli 17 anni, si iscrisse all'università di Milano alla facoltà di medicina. Ben presto Benedetta si ammalò di una rara patologia, la neurofibromatosi nel tipo detto "sindrome di Von Recklinghausen". La malattia la portò rapidamente alla cecità e alla sordità. Fu costretta dalle condizioni di salute a lasciare l'università quando ormai le mancava un solo esame. Ridotta alla mancanza quasi totale di sensibilità fu
Appena nata a Dovàdola, in provincia di Forlì, fu colpita da una emorragia. Su richiesta della madre le venne conferito il battesimo "di necessità" con acqua di Lourdes.
A tre mesi Benedetta si ammalò di poliomelite. La malattia le lasciò la gamba destra più corta, constringengola in seguito a portare una pesante scarpa ortopedica.
Nel maggio 1944 nella piccola Chiesa dell’Annunziata a Dovadola fece la prima Comunione. Le venne regalato in quell'occasione un rosario, da cui non si sarebbe più separata.
Nonostante la sua situazione di salute, nell'ottobre del 1953, a soli 17 anni, si iscrisse all'università di Milano alla facoltà di medicina. Ben presto Benedetta si ammalò di una rara patologia, la neurofibromatosi nel tipo detto "sindrome di Von Recklinghausen". La malattia la portò rapidamente alla cecità e alla sordità. Fu costretta dalle condizioni di salute a lasciare l'università quando ormai le mancava un solo esame. Ridotta alla mancanza quasi totale di sensibilità fu
però capace di donare luce, luce eterna a quanti le si accostavano anelanti alla verità, bisognosi di un conforto spirituale. Pensate, era lei che consolava! Incarnò fino in fondo la celebre citazione paolina:" quando sono debole è allora che sono forte, perchè dimora in me la potenza di Cristo".
Una ragazza che dovette rinunciare all'università, quindi al suo futuro ad un passettino dal traguardo! Ma non si disperò! Fu tribolata, questo si, ma il suo sguardo trasmetteva una serenità incredibile, facendo così sua un'altra celebre frase paolina:"per me il vivere è Cristo e il morire un guadagno".
Morì il 23 gennaio 1964.
Nel dicembre 1994 fu emesso il decreto di introduzione
per la causa di santità.
Se bastasse un colore …
Ultimamente si parla molto di intolleranza, di guerre, di violenza. A volte si sente il bisogno di sedersi e respirare un po’. Vi regalo questa poesia che mi hanno mandato tramite e-mail.
IL DISEGNO
Ho comprato una scatola
di colori e la guardo:
non c’è il rosso
per le ferite e il sangue;
non c’è il nero
per i bambini orfani;
non c’è il giallo
per le sabbie che bruciano…
c’è invece l’arancione
per la gioia di vivere
il verde per gli alberi,
e le foglie
il blu per i cieli tersi
e il rosa per i sogni…
Così, mi siedo
e disegno la PACE!
sabato 7 marzo 2009
Una festa per riflettere
È bello pensare che ogni cosa attorno a noi ha un senso. Anche le feste. L’8 marzo è la festa della donna. Anche se nel corso degli anni mimose, regali e cioccolatini hanno un po’ offuscato il significato originario di questa ricorrenza, mi piace ricordare che essa è stata istituita per non farci dimenticare l’impegno a costruire una società in cui uomini e donne siano tenuti in eguale considerazione. In questo ultimo periodo abbiamo spesso sentito parlare di violenza contro le donne e, di conseguenza, sono state fatte nuove proposte per rendere le nostre città più sicure. Ma non basta. Non si tratta solo di un problema di sicurezza, ma di mentalità. Quando i mass media ci propongono immagini in cui il corpo della donna viene mostrato come oggetto del desiderio, quando viene consigliato alle donne che devono sostenere un colloquio di lavoro di non dire che vogliono avere una famiglia e dei figli perchè rischiano di non essere assunte, la società non riconosce uguale considerazione all’uomo e alla donna. Ma se alla donna viene tolta la possibilità di realizzarsi come persona usando la ricchezza propria della femminilità, la società stessa viene impoverita di quel dono di cui la donna è portatrice. Spero che l'8 marzo sia un'occasione per festeggiare in allegria e anche per riflettere sull'importanza di formarsi al rispetto della dignità della persona e di ricordarsi che la diversità fisica e psicologica dell’uomo e della donna, il loro diverso approccio alla vita e ai problemi li rendono complementari.
giovedì 5 marzo 2009
in giro per il mondo
In questi giorni intensi della Quaresima sembra che l'intensità venga anche dalla presenza forte e ripetuta dei nostri amici e fratelli "santi".
C'è un alternarsi di figure di oggi e di ieri, di uomini e donne, di italiani e non, tutti con la stessa caratteristica dell'amore grande per Dio e per il prossimo. In diversi centri del Movimento si propone la figura dei santi e dei testimoni.
Condivido con voi solo un aspetto che mi colpisce:
sono tanto diversi tra loro i santi!
E' come se Dio inventasse la santità per ogni persona...
E forse è davvero così!
Allora... c'è posto anche per noi! Strani, fantasiosi, apparentemente banali, sempre in caduta...
Cerca cerca.. troveremo il modo giusto per dire SI a DIO.
Saremo noi i nuovi santi in giro per il mondo, in questo 2009?
martedì 3 marzo 2009
Edith Stein: una grande santa!
Ieri sera con Giselda abbiamo dato il via agli incontri di Adorazione Eucaristica incentrati sulla vita di alcuni santi, per potere meglio imitarne le orme. Abbiamo riflettuto su Edith Stein, grande figura di santa che offrì la sua vita al Signore in un 'ottica di donazione, il quale accettò la sua offerta. Edith avvertì infatti tutto il peso della croce quando subì la deportazione nei campi di concentramento, arrivando fino alla morte.La sua vita ci insegna moltissimo. Nacque a Wrocław, ultima di 11 figli in una famiglia ebraica ortodossa. Nel 1904 divenne atea. Studiò tedesco, filosofia, psicologia e storia alle università di Breslavia, Gottinga e Friburgo. . Nonostante avesse già avuto contatti con il cattolicesimo, fu solo dopo aver letto l'autobiografia della mistica santa Teresa d'Avila, durante una vacanza nel 1921, che abbandonò formalmente l'ebraismo e si convertì. In una sola notte lesse tutto il libro e, quando lo chiuse disse:"QUESTA E' LA VERITA'!" Battezzata il 1 gennaio 1922 a Bad Bergzabern rinunciò al suo posto di assistente di Husserl per andare ad insegnare presso una scuola domenicana per ragazze a Speyer (1922-1932).Nell' aprile 1933, alcune settimane dopo l'insediamento di Hitler al cancellierato, Edith Stein scrisse a Roma per chiedere a papa Pio XI di non tacere più e di denunciare le prime persecuzioni contro gli ebrei.Entrò nel convento Carmelitano a Colonia nel 1934 e prese il nome di Teresa Benedetta della Croce. Per fuggire al nazismo, il suo ordine la trasferì al convento Carmelitano di Echt nei Paesi Bassi. Lì scrisse la Kreuzeswissenschaft. Studie über Johannes vom Kreuz ("La Scienza della Croce: Studio su Giovanni della Croce").Nel 1939 fece la sua offerta di vita al Signore per gli ebrei. Il Signore ascoltò la sua richiesta! La conferenza dei vescovi olandesi il 20 luglio 1942 fece leggere in tutte le chiese del paese un proclama che fece con grande coraggio contro il razzismo nazista. In risposta il 26 luglio Adolf Hitler ordinò l'arresto dei convertiti ebraici (che fino a quel momento erano stati risparmiati). Edith e sua sorella Rosa, pure lei convertita, furono catturate ed internate presso il campo di transito di Westerbork prima di essere trasportate al campo di concentramento di Auschwitz, dove furono uccise nelle camere a gas il 9 agosto 1942. Con la sua beatificazione nel Duomo di Colonia da parte di Papa Giovanni Paolo II, il 1° maggio del 1987, la Chiesa cattolica volle onorare, per esprimerlo con le parole dello stesso Pontefice, " una figlia d'Israele, che durante le persecuzioni dei nazisti è rimasta unita con fede ed amore al Signore Crocifisso, Gesù Cristo, quale cattolica ed al suo popolo quale ebrea". Fu canonizzata dallo stesso Giovanni Paolo II l'11 ottobre 1998 e nominata compatrona d'Europa".Scrisse cose bellissime sulla croce, dicendo che essa la si capisce in fondo se si vive immersi nel suo mistero.
lunedì 2 marzo 2009
Sul buon uso del denaro
Non voglio fare un discorso politico, ma vorrei parlare di responsabilità. Credo che sia giunta all’orecchio di tutti la notizia della “festicciola” di compleanno del patriarca dello Zimbawe - a base di aragoste, champagne e caviale - costata 250 mila dollari statunitensi e pagata con una colletta dei suoi sudditi. Tutto ciò in uno stato con un’inflazione “a nove zeri” e un tasso di disoccupazione che sfiora il 95 per cento. Intanto in Italia si sta decidendo di rifiutare la proposta di dare un assegno ai lavoratori che, avendo contratti che non prevedono la cassa integrazione (cioè tutti coloro che hanno contratti a progetto, e simili), perdono il lavoro.
Ripeto, vorrei parlare di responsabilità non solo del governo, ma anche di ciascuno di noi. Cosa vuol dire? Soprattutto in momenti di crisi economica come quello che stiamo attraversando è importante imparare il buon uso del denaro, che non vuol dire solo imparare a risparmiare, ma - ad esempio - acquistare un prodotto un po’ meno alla moda e più economico e dare i soldi risparmiati a chi non ne ha. Oppure dare lavoro a chi ne ha bisogno. Ci sono persone che non per mancanza di denaro, ma per un eccessivo senso del risparmio non assumono personale. Il buon uso del denaro può essere anche dare lavoro agli altri e farlo con un contratto che garantisca al dipendente di vivere dignitosamente. Non è un’utopia! Sono piccoli e grandi gesti di responsabilità che ciascuno di noi, a seconda delle proprie possibilità, può fare. Pensiamoci …
Ripeto, vorrei parlare di responsabilità non solo del governo, ma anche di ciascuno di noi. Cosa vuol dire? Soprattutto in momenti di crisi economica come quello che stiamo attraversando è importante imparare il buon uso del denaro, che non vuol dire solo imparare a risparmiare, ma - ad esempio - acquistare un prodotto un po’ meno alla moda e più economico e dare i soldi risparmiati a chi non ne ha. Oppure dare lavoro a chi ne ha bisogno. Ci sono persone che non per mancanza di denaro, ma per un eccessivo senso del risparmio non assumono personale. Il buon uso del denaro può essere anche dare lavoro agli altri e farlo con un contratto che garantisca al dipendente di vivere dignitosamente. Non è un’utopia! Sono piccoli e grandi gesti di responsabilità che ciascuno di noi, a seconda delle proprie possibilità, può fare. Pensiamoci …
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